Buona parte dei decreti ingiuntivi che ricevono i debitori dell’utenza bancaria derivano da una garanzia prestata a favore di un amico o un parente, in particolare con la sottoscrizione di una fideiussione.
Cos’è la fideiussione bancaria e quali sono le tutele?
La fideiussione è una tipologia di garanzia che spesso le Banche richiedono per l’erogazione di un finanziamento ad un soggetto senza immobili o buste paga oppure alle società per l’erogazione di linee di credito.
Su tale fideiussione nel 2021 è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione che, consolidando un orientamento giurisprudenziale degli ultimi anni, ha confermato che tutte le garanzie di questo tipo, che contengano le clausole contrattuali illecite dichiarate nulle dal provvedimento della Banca d’Italia n.55/2005, debbano essere dichiarate parzialmente nulle. Tra le tre suddette clausole “incriminate” quella più rilevante nel caso di un’opposizione a decreto ingiuntivo è sicuramente la deroga all’art.1957 c.c..
Infatti la declaratoria di nullità della clausola che esclude l’applicazione dei termini di cui all’art. 1957 c.c., comporta che il citato articolo risulta operante, «con la conseguenza che il fideiussore rimane obbligato pur dopo la scadenza dell’obbligazione principale, solo a condizione che il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate».
Tuttavia nel 75% dei casi la banca non propone le sue azioni nei confronti del debitore nel termine di legge con la conseguenza che l’obbligazione fideiussoria dovrà essere considerata estinta, l’opposizione accolta e il decreto ingiuntivo revocato.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto che il fideiussore ha diritto sia alla tutela reale (cioè alla nullità del contratto) che a quella risarcitoria.
Sono giunti a tali conclusioni sul rilievo che l’art.41 Cost. implica la possibilità per ciascuno di cogliere le migliori opportunità disponibili sul mercato, o proporre nuove opportunità, senza imposizioni da parte dello Stato o vincoli predeterminati da coalizioni d’imprese.
Di qui, osserva la Corte, l’introduzione della disciplina antitrust la cui ratio è diretta a realizzare un bilanciamento tra libertà di concorrenza e tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi dagli imprenditori.
Lo evidenzia, con estrema chiarezza, la sentenza delle Sezioni Unite n. 2207/2005, nella parte in cui precisa che la legge antitrust “detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari, non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato”, in particolare i consumatori, tenuto conto che il “contratto a valle costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti”. In tale prospettiva, la pronuncia legittima il destinatario ad esperire sia la tutela reale che quella risarcitoria.
Peraltro, osserva sempre la Cassazione, il tenore letterale della L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 3, è inequivoco nello stabilire che “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”.
Quindi, le Sezioni Unite affermano che la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di nullità e di risarcimento del danno, spetta non solo agli imprenditori, ma anche agli altri soggetti del mercato che abbiano interesse alla conservazione del suo carattere competitivo e, quindi, anche al consumatore finale che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per effetto di una collusione tra gli imprenditori del settore, ancorché egli non sia partecipe del rapporto di concorrenza con gli autori della collusione.
In conclusione, le Sezioni Unite ritengono che il fideiussore ha legittimazione attiva sia all’esercizio dell’azione di nullità che a quella di risarcimento del danno prevista dalla L. n. 287 del 1990, art. 33.
Annullamento parziale della fideiussione
La Corte di Cassazione, con questa recente sentenza, pur avendo riconosciuto il diritto del fideiussore anche alla tutela risarcitoria, afferma che la forma di tutela più adeguata allo scopo sia la nullità parziale, limitata cioè alle clausole contrattuali illecite dichiarate nulle dal provvedimento della Banca d’Italia n.55/2005.
La suddetta conclusione si giustifica – ad avviso delle Sezione Unite – in quanto la nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende all’intero contratto, o a tutta la clausola, solo ove l’interessato dimostri che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.
Pertanto, l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce eccezione che deve essere provata dalla parte interessata. Ma tale ultima evenienza, precisa la Corte, è ben difficile che si verifichi quando il fideiussore è una persona legata al debitore principale (per esempio, socio della società debitrice principale) e, quindi, portatrice di un interesse economico al finanziamento bancario. Al contempo, è del tutto evidente, per la Corte, che anche l’imprenditore bancario ha interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole a lui favorevoli, attesa che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti.
Quindi, conclude la Corte, la nullità dell’intesa a monte determina la nullità parziale del contratto di fideiussione a valle, limitatamente cioè alle clausole dichiarate nulle dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 (nn. 2, 6 e 8).
Il riferimento è alle clausole proprie dello schema, elaborato nel 2003 dall’Associazione Banche Italiane, che sono state ritenute contrarie all’art. 2 della predetta legge n. 287/1990 dalla Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2.5.2005.
Conseguenze della nullità delle fideiussione
Dalla ritenuta nullità parziale del contratto discende, ad avviso degli Ermellini, una serie di conseguenze sul piano sostanziale e processuale:
- anzitutto, che le fideiussioni per cui è causa restano pienamente valide ed efficaci, sebbene depurate dalle sole clausole riproduttive di quelle dichiarate nulle dalla Banca d’Italia.
- la rilevabilità d’ufficio di tale nullità da parte del giudice, con la conseguenza che il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne d’ufficio la sua nullità solo parziale;
- l’imprescrittibilità dell’azione di nullità (Cass. 15/11/2010, n. 23057) e la proponibilità della domanda di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., ricorrendone i relativi presupposti (Cass. 08/11/2005, n. 21647), nonché l’azione di risarcimento dei danni.
Detti principi, unitamente al fatto che la stessa Suprema Corte ha confermato che il provvedimento della Banca d’Italia di accertamento dell’infrazione ha un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale delle banche, consentiranno, a tutti coloro che hanno prestato garanzia su un modello con schema ABI, la possibilità, ricorrendone i presupposti, di liberarsi dall’obbligazione, e se hanno già pagato il debito, nonostante la banca fosse incorsa nella decadenza di cui all’art.1957 c.c., di agire in giudizio per ottenere la restituzione dell’indebito pagamento effettuato, oltre al risarcimento del danno subito.
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